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Renault Scenic, intentare e reinventare

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Negli Anni Novanta, Renault era il costruttore delle “auto da vivere”. Inventore della prima monovolume nel 1984, ci riprovò dodici anni dopo progettando la prima monovolume compatta del mercato. Un veicolo con un abitacolo ricco di innovazioni. 25 anni fa.

Al Salone di Francoforte del 1991 Renault presentò al pubblico la concept-car Scénic con il sottotitolo “Invito al viaggio”. Si trattava di una superinnovativa monovolume compatta stile “cocoon car” che cinque anni dopo avrebbe dato origine a Mégane Scénic,  la prima monovolume compatta del mercato. Oggi chiamata semplicemente Scénic, questa inimitabile bestseller, è diventata un’icona. La sua progettazione è stata una vera e proprio manna per i designer di quei tempi. «Progettare un veicolo dall’interno all’esterno capita una sola volta nella vita» ricorda oggi Louis Morasse.

All’epoca, prima Espace e poi Mégane Scénic erano le regine delle auto da vivere di Renault. Bisogna dire che il capitolato della futura Mégane Scénic era molto chiaro nella mente dei designer del progetto di cui faceva parte Louis Morasse: ogni passeggero doveva avere il suo sedile, la luminosità era di fondamentale importanza, le sedute erano sopraelevate per una buona visibilità della strada, tutto era fatto per la vita a bordo. In sintesi, le monovolume Renault dovevano fare viaggiare, in senso proprio, ma anche figurato!

Con questi obiettivi ambiziosi, il progetto Mégane Scénic era unico nel suo genere: il veicolo fu progettato dall’interno all’esterno. Nasceva così l’ingegneria degli interni. La linea esterna di Mégane Scénic invece rientrava perfettamente nei canoni dell’epoca con ellissi e forme arrotondate e morbide. Senza dimenticare la parentela con Mégane. «Con Scénic, si era data la priorità a tutti i passeggeri. Non doveva essere una punizione prender posto sui sedili posteriori di Scénic» spiega Louis Morasse.

A quei tempi erano di moda le berline GTI, auto che davano forti sensazioni ai conducenti. Mégane Scénic invece si rivolgeva alle famiglie. I designer di Renault raccolsero la sfida di dare la priorità a tutti i passeggeri a bordo. Nell’abitacolo c’erano pertanto 5 posti individuali, una modularità fuori dal comune, moltissimi vani portaoggetti e un bagagliaio voluminoso. Il tunnel della trasmissione si nascondeva sotto il doppio pianale interno che era quindi piatto. Questo accorgimento non era solo estetico, ma consentiva di ottenere tanti vani portaoggetti “nascosti”, ma anche di sopraelevare i passeggeri e il conducente, garanzia di miglior visibilità nonché di maggior sicurezza attiva e passiva. Il successo di Mégane Scénic fu immediato e clamoroso e nel 1999 conquistò l’indipendenza adottando il solo nome Scénic.

Nel 2003 la seconda generazione di Scénic diventò una vera e propria gamma, essendo l’unica monovolume del segmento delle compatte a proporre 3 versioni: una versione corta a 5 posti da 4,30 m e due versioni lunghe Grand Scénic a 5 o 7 posti da 4,50 m.  All’interno, Scénic 2 superava l’ingegnosità del modello precedente introducendo il bracciolo centrale scorrevole, un cruscotto centrato con display digitale, la console centrale con la leva del cambio in posizione alta e vani portaoggetti per oltre 91 litri in tutto l’abitacolo. Aumentando la luminosità, il parabrezza panoramico e il tetto apribile incrementavano la sensazione di spaziosità.

Con la terza generazione, lanciata nel 2009, l’abitabilità era ineguagliabile, con 92 litri di vani portaoggetti, ma anche un raggio alle ginocchia dei sedili posteriori e uno spazio per la terza fila al top della categoria. La modularità era spinta ai massimi livelli con la possibilità di ripiegare a tavolino i sedili posteriori, oltre al sedile del passeggero. Con i montanti del parabrezza spostati indietro, luminosità e visione aumentano ulteriormente. L’abitacolo è letteralmente inondato di luce. «Noi di Renault eravamo all’apoteosi delle auto da vivere negli Anni Novanta. Volevamo un veicolo davvero dedicato alle famiglie dove ognuno potesse trovare il suo posto» ricorda Louis Morasse che ha contribuito a questa apoteosi.

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