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Bella e sfortunata

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La Maserati Biturbo fu penalizzata da una messa a punto affrettata.

Nel 1982, ovvero 40 anni fa, iniziò la produzione della Maserati Biturbo, l’auto che contribuì a salvare l’azienda di via Ciro Menotti a Modena dal fallimento. De Tomaso in persona si era presentato alla stampa quando la Biturbo fu mostrata per la prima volta il 14 Dicembre 1981, il giorno stesso in cui 67 anni prima era stata fondata la società. Con un listino iniziale di 22 milioni di Lire, la Biturbo costava più o meno come una Lancia Gamma e la metà di una Porsche 911 SC. La rivale dichiarata era la BMW Serie 3.

Buona parte della stampa non esitò a definirla, sulle ali dell’entusiasmo, “la Maserati per tutti”, anche se per ordinarla bisognava versare un acconto di 2 milioni di Lire. Ben presto De Tomaso si trovò un migliaio di ordini a portafoglio da tutto il mondo, e in base a una leggenda metropolitana con quei 2 miliardi di Lire avrebbe allestito a Lambrate la linea di montaggio di quella che lui chiamava la “Maseratina” (solo i motori e le sospensioni venivano prodotti a Modena).

Quando però furono consegnati i primi esemplari, alla fine del 1982, il prezzo chiavi in mano era nel frattempo salito a 26 milioni di Lire: tanti per una 2 litri poco più lunga di una Ford Escort e con finiture interne appariscenti, ma non sempre al livello della concorrenza. Comunque con quella somma si entrava in possesso di un’auto dalla linea elegante, con interni in velluto di Missoni o pelle (optional) e simil-radica nel cruscotto, con sotto il cofano un intrigante V6 a 90° di 2 litri (1,996 cc) da 182 CV derivato dal motore della Merak e della Citroën SM a 3 valvole per cilindro e con due minuscole turbine IHI. Due i turbo: da qui il nome dell’auto.

Ben presto però vennero fuori dei problemi di affidabilità e di difficoltà all’avviamento delle versioni a carburatori, tanto che fu giocoforza ricorrere ben presto all’alimentazione a iniezione anche per ragioni di omologazione dell’auto su certi mercati esteri. Quando apparve la Biturbo II, nel 1986, la gamma era cresciuta con le versioni a 4 porte (420 per l’Italia, 425 per l’estero dove non era penalizzata dall’IVA al 38%) e la Spyder. Il prezzo rimaneva comunque alto: ad esempio sul mercato inglese la 425 costava all’epoca quasi 28mila Sterline, contro le 16mila della Ford Sierra RS Cosworth e le 21.500 della Jaguar XJ-S con motore 3.6.

Due anni dopo arrivarono sui mercati esteri la 228 coupé con motore 2.8 da 245 CV, la 222E (il nuovo nome della Biturbo, che in Italia era ovviamente 220) e la berlina 430. E al top della gamma si pose la Karif, con un padiglione ridisegnato e pensata soprattutto come sportiva a 2 posti più altri 2 di fortuna che al massimo potevano accogliere due bambini. Anche se accelerava da 0 a 100 km/h in 4.9 secondi, fu prodotta in soli 221 esemplari: non bastavano a fare appeal il sontuoso interno in pelle e Alcantara e il tanto criticato orologio placcato oro montato sul cruscotto.

Il motore era affascinante come suono e prestazioni, anche se De Tomaso era tenacemente ostinato nel rifiutarsi di fare installare l’ABS per molti anni sulle sue Maserati. Però i difetti iniziali della Biturbo (che sul mercato americano aveva manifestato una pericolosa tendenza a prendere fuoco) avevano ormai compromesso pericolosamente l’immagine di questo modello e di quelli che ne derivarono, per cui la produzione non arrivò mai ai livelli che De Tomaso aveva ipotizzato. Neppure la Ghibli II e la Shamal, che si può considerare l’estrema evoluzione della “Maseratina”, rivista nell’estetica da Marcello Gandini, con un bel V8 3.2 da 326 CV sotto il cofano, riuscirono ad inizio Anni ‘90 a risollevare le sorti di questo modello. E quando apparve nel 1994 la quarta generazione della Quattroporte da un anno De Tomaso aveva ceduto il controllo dell’azienda alla Fiat…

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