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Pillole di elettrificazione

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Potenza della ricarica ed energia immagazzinabile dalle batterie sono due pilastri dell’elettrificazione dell’automotive.

Abbiamo familiarizzato con il simbolo kW (kiloWatt) vedendolo affiancato a CV (cavalli) nel libretto di circolazione delle auto come misura della potenza del veicolo con coefficiente di conversione 1,36. Quindi 100 kW= 136 CV e così via.

Relativamente alle auto elettriche poi, i kW misura la potenza degli impianti di ricarica e la potenza che l’auto può assorbire durante la ricarica e il kWh indica l’energia che le batterie possono immagazzinare. Comunemente si usano i kWh per dire quanto è “grande” una batteria e quanto si impiega a caricarla. Ad esempio: con un impianto di ricarica della potenza di 50 kW ci vogliono due ore per “fare il pieno” di energia di una batteria da 100 kWh.

A seconda dei casi, per ricaricare un’auto elettrica si può collegarla alla spina della corrente continua (DC/CC), che è la forma in cui l’energia viene immagazzinata nelle batterie (e colonnine che la forniscono direttamente secondo questa modalità sono quelle più potenti e quindi più veloci perché la corrente raggiunge direttamente la batteria senza bisogno di essere convertita, come invece succede con la corrente alternata) o della corrente alternata (AC), comunemente quella della ricarica domestica. Per essere immagazzinata nelle batterie dell’auto, deve essere trasformata in corrente continua, cosa che avviene tramite il caricatore, montato a bordo dell’auto.

Dato che la carica della batteria determina i parametri base del veicolo elettrico, partiamo dal considerare la potenza, che si misura in Watt (W), e che otteniamo dal prodotto della tensione, nota anche come differenza di potenziale, che si misura in Volt (V), con l’intensità della corrente, che si misura in ampere (A). La formula W=V A in pratica vuol dire che l’aumento della carica di un veicolo elettrico o la sua velocità di ricarica si ottiene aumentando la tensione (V) o l’amperaggio (A).

Da qui nasce l’idea di passare da un convenzionale circuito a 12V, ad esempio ad uno a 24V ed in alcuni casi anche di più, fino a spingerci a piattaforme di centinaia di Volt. Un veicolo elettrico moderno è difficile pensarlo senza l’alta tensione. Lo standard dei marchi trendsetter è ad esempio di piattaforme ad alta tensione, fino a 400 V.

Ora per capire il vantaggio della scelta di incrementare la tensione elettrica, basta pensare che se si aumenta la tensione da 400V a 800V, questo significa approssimativamente raddoppiare la potenza operativa o poter dimezzare le dimensioni della batteria, mantenendo invariate le prestazioni del veicolo.

Tutto molto semplice e già alla portata di tutti? Non proprio così. Serve molto “know how” e tanta tecnologia per affrontare e gestire adeguatamente le problematiche connesse a questa scelta. Certamente, quella dell’alta tensione sembra delinearsi come scelta maestra.

Le batterie hanno avuto un’enorme evoluzione e anche i modelli delle vetture più “accessibili” oggi dispongono di impostazioni molto avanzate. Un esempio molto recente è la famiglia ID di Volkswagen. Hanno un’architettura modulare e sono realizzate in profilati d’alluminio. Al loro interno sono divise in compartimenti, ciascuno dei quali ospita un modulo composto da 24 celle agli ioni di litio con un rivestimento flessibile. La batteria da 45 kWh contiene sette moduli, quella da 52 kWh otto e quella da 58 kWh nove, distribuiti in dieci compartimenti. La batteria da 77 kWh, infine, è composta da dodici moduli che riempiono tutti i dodici compartimenti disponibili.

Quanto alle dimensioni, sono estremamente compatte. Il pacco indicativamente misura 140×140 cm ed è alto appena 14 cm con una massa che varia tra i 320 e i 500 kg.

Le batterie sembrano non essere più l’ostacolo alla diffusione dell’auto elettrica. Il vero collo di bottiglia continua invece ad essere la mancanza di capillarità della rete di ricarica.

 

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