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Meglio le sorelle maggiori !

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I casi Citroen, Renault e Volkswagen.

Nella storia delle Case automobilistiche c’è ovviamente spazio anche per storie curiose come quelle di modelli destinati a raccogliere il testimone da “sorelle” più datate, ma che per varie ragioni non riuscirono in quelli che erano gli intenti dei vertici aziendali ed uscirono di scena ben prima delle loro “progenitrici”. Ecco tre casi piuttosto eclatanti.

In casa Citroen, la 2CV, pronta ad essere prodotta nel 1939, ma per cause belliche poi entrata ufficialmente sul mercato solo nel 1948, nella seconda metà degli Anni 60 cominciava a faticare a reggere il passo della concorrenza, soprattutto dopo il lancio della Renault R4 (protagonista di una vicenda analoga e di cui scriviamo in modo dettagliato più avanti). A Quai de Javel, sede della Casa del “double Chevron”, si pensò di affiancarle qualcosa di più moderno, ma meno “sconvolgente” della Ami 6 apparsa nel 1961. Fu così che nel 1967 nacque la Dyane, in un certo senso sorella della “deuche”, con una linea più al passo con i tempi e proposta anch’essa con motori prima di 425 cc e poi di 602 cc come la sua “antenata”, finestrini anteriori scorrevoli anziché “a battente”, sedile posteriore ribaltabile anziché estraibile e curiosamente, proprio come la 2CV, priva inizialmente del terzo finestrino laterale che sarà aggiunto solo in un secondo tempo.

Il successo però non fu così clamoroso come ci si aspettava, sebbene su alcuni mercati, come l’Italia, la Dyane fosse importata dal 1967 fino al 1976 al posto della 2CV. Basti pensare che a un certo punto in Francia si vendeva una Dyane ogni nove 2CV. Ed anche se in Italia, col ritorno della “deuche”, il rapporto era di 5 a 2 a favore della Dyane, alla fine fu giocoforza togliere nel 1984 dalla produzione la presunta “erede”, nonostante le migliorie introdotte nel frattempo (come i freni anteriori a disco e finestrini anteriori discendenti). Quanto alla 2CV, sarebbe invece stata prodotta fino al 1990 prima di cedere il passo alla AX.

Vicenda analoga alla Renault, dove la R4, presentata in Camargue nel 1961 e caratterizzata da una linea dalle forme inconsuete e da soluzioni tecniche interessanti come il circuito di raffreddamento sigillato, accusava a sua volta a fine Anni 60 il “doppio fronte” costituito da Citroen 2CV e Dyane.

Al Salone di Parigi del 1968 fu così presentata la R6, che nella linea, piuttosto spigolosa, ricordava la ben più grande R16 ed aveva 4 finestrini discendenti (scorrevoli sulla R4) e motori di 845 cc e, successivamente, anche di 1108 cc. L’abitacolo era più elegante rispetto a quello della R4, grazie agli inserti cromati visibili in vari punti, ed inoltre la dotazione era assai più ricca poiché comprendeva un più completo sistema di ventilazione interna, il portacenere sulla plancia, due portacenere nei pannelli porta posteriori, lo specchietto retrovisore interno non più sulla plancia ma fissato in alto, un vano portaoggetti più elegante e naturalmente una strumentazione nel complesso analoga a quella della “sorella” minore (tachimetro, contachilometri, indicatore livello carburante, ecc) con in più l’indicatore di livello di carica della batteria.

L’auto però, che per la forma della carrozzeria aveva curiosamente un bagagliaio più piccolo (390 litri contro i 480 della R4) ebbe comunque un destino analogo a quello della Dyane rispetto alla 2CV. Visse infatti in un certo senso all’ombra della R4 (la cui produzione sarebbe proseguita fino al 1992 quando i vertici della Régie giudicarono troppo dispendioso dotarla di marmitta catalitica) e nel 1980 la R6 fu tolta di produzione: al suo posto sarebbero arrivate la R9 a tre volumi e la R11 a due volumi.

Anche alla Volkswagen all’inizio degli Anni ‘60 era diventato un problema prioritario trovare un erede per il Maggiolino, apparso per la prima volta nel 1939, ma per motivi bellici entrato in produzione, in modo piuttosto fortunoso, soltanto nel 1948. Sul mercato ormai da quasi tre lustri, era l’unica auto al mondo ad avere ancora le pedane laterali e sembrava faticare a reggere il passo con la concorrenza.

Serviva qualcosa di più moderno che però non stravolgesse i contenuti della progenitrice: per cui doveva avere motore posteriore boxer raffreddato ad aria, trazione ovviamente posteriore e sospensioni indipendenti. Lanciata nel 1961 come 1500 (nome in codice Typ 3, visto che la Typ 1 era il Maggiolino e la Typ 2 il veicolo commerciale “Bulli”) l’erede designata si distingueva per la linea gradevole, ma tutto sommato piuttosto anonima. Disponibile, come il Maggiolino, solo a 2 porte, piaceva per la robustezza, l’elevata ripresa, l’affidabilità e l’ottimo livello di finiture. Proposta anche come Variant (familiare) e Coupé fastback, la Typ 3 però non riuscì mai a raggiungere la popolarità del Maggiolino e nel 1973 uscì di produzione.

Questo fu uno dei tanti tentativi della Volkswagen di trovare un’alternativa al Maggiolino (gli altri furono la 411/412 e la K70 derivata da un modello NSU, Casa assorbita da Wolfsburg). Non appena Volkswagen ebbe a listino i nuovi modelli con motore e trazione anteriori (Passat e Golf) la produzione della Typ 3 cessò prima nell’impianto di Wolfsburg e quindi anche in quello di Emden, nel quale era stata trasferita per le fasi finali. Quanto al Maggiolino, sarebbe rimasto in produzione, fra Europa e Messico, fino al 2003…

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