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L’avventura a quattro ruote

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Per venti anni dal 1980 al 2000 il Camel Trophy è stato per tutti il simbolo dell’avventura.

Camel Trophy, basta la parola. Per vent’anni, dal 1980 al 2000, e probabilmente ancora oggi, è stato il simbolo dell’avventura a quattro ruote. Forse non è stata, come si è comunemente portati a credere, una delle più dure competizioni per fuoristrada del mondo, ma è stata certamente una delle più famose. Anche perché alla sua base c’era un programma di marketing, esploso a livello globale che ha fatto diventare il Camel Trophy un marchio universalmente noto ed ambito, come testimonia fra l’altro anche la creazione di una fortunata linea di merchandising.

Quello che forse non tutti sanno è che questo famosissimo programma globale nacque quasi per caso quando, alla fine degli Anni Settanta, un gruppo di appassionati fuoristradisti tedeschi ottenne dalla Reynolds Tobacco (proprietaria del marchio Camel) una sponsorizzazione per percorrere con tre Jeep CJ6 la Transamazzonica: 1.600 chilometri da Belèm a Santaèm in 12 giorni. Mentre alcune grandi multinazionali del tabacco, non potendo più reclamizzare direttamente i loro prodotti, investivano somme sempre più importanti nell’automobilismo e nel motociclismo, la Reynolds si ritrovò quasi per caso tra le mani e ad un costo nettamente inferiore il mondo dell’avventura e del 4×4.

Nacque così il Camel Trophy e quando, dopo la prima edizione, si cominciò a pensare alla seconda ci si rese probabilmente conto che la Jeep era forse una soluzione un po’ scontata. Al contrario vedere uno status symbol come l’elegante Range sporcarsi la carrozzeria nella giungla tropicale, anziché esibirla lungo le vie del centro città, avrebbe colpito certamente l’immaginazione del grande del pubblico. E forse, aggiungiamo noi, sarebbe stato ancora più in linea con l’immagine del marchio.

Non immaginando la possibilità di un’azione di co-marketing con la Land Rover, la Reynold coinvolse inizialmente la Casa inglese non come “partner”, bensì come semplice fornitore. Per la Land Rover che si ritrovò così, quasi gratuitamente, al centro di un grande programma di marketing fu un affare che si rivelò colossale. La divisione Special Vehicles allestì una serie di speciali Range verniciate nella classica livrea gialla della Camel, le modificò per affrontare la sfida e le attrezzò con una gamma di equipaggiamenti “ad hoc”. Da allora allestì per il Camel Trophy qualcosa come 450 veicoli speciali.

Nel 1981 cinque Range Rover, sempre guidate da equipaggi tedeschi, attraversarono così la giungla di Sumatra. E fu un successo. L’anno dopo il Camel Trophy cominciò ad assumere una dimensione internazionale: squadre di quattro nazioni (Olanda, Italia, Stati Uniti e Germania Ovest) a bordo di altrettante Range Rover si sfidarono nella giungla di Papua Nuova Guinea. Si impose l’equipaggio italiano formato da Cesare Giraudo e da Giuliano Giongo, e in Italia il Camel Trophy divenne un fenomeno mediatico che fu ulteriormente rafforzato dalle successive vittorie di Maurizio Levi ed Alfredo Radaelli (Brasile 1984) e di Mauro Miele e Vincenzo Tota (Madagascar 1987).

Da questo momento il Camel Trophy fece il giro del mondo facendo scoprire zone del pianeta sconosciute ai più e portando in gara (e reclamizzando) i nuovi modelli Land Rover. Con il passare degli anni però il Camel Trophy fu però vittima del suo stesso successo. La voglia di gigantismo che portò, ad esempio, all’organizzazione di lunghe, poco comprensibili e soprattutto costose selezioni nazionali, l’introduzione nel 1997 di prove a carattere multidisciplinare (kayak, orienteering, montain-bike, free-climbing, ecc), la soppressione dei percorsi off-road più impegnativi sottraggono progressivamente alla manifestazione lo spirito originale incentrato sulla guida fuoristrada che ne aveva decretato il successo. Calò così anche l’entusiasmo della Land Rover che dopo l’edizione del 1998 abbandonò il Camel Trophy.

Annullata l’edizione del 1999, originariamente programmata in Perù, la Reynolds Tobacco tentò di rilanciare il Camel Trophy nel 2000 con un’edizione “acquatica” nelle isole Tonga e Samoa nel corso della quale protagonisti delle prove erano soprattutto i gommoni, mentre le piccole Honda CR-V erano poco più che un contorno. E fu la fine di un mito.

 

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